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Thunderbolts (2025) L'aldilà dell'eroe - come il superamento del vuoto e della vergogna del trauma porta alla eroica soggettivazione una lettura psicoanalitica a cura del Dott. Maurizio Silvestri

Abstract

Il presente saggio propone un’interpretazione psicoanalitica del film Thunderbolts (2025), utilizzando i paradigmi teorici di Freud e Lacan per esplorare il rapporto dei protagonisti con il trauma, la vergogna, la solitudine e l’illusione dell’onnipotenza. A partire dal racconto ironico di Yelena Belova sul desiderio di «fare la portiera», il film viene analizzato come una narrazione della soggettivazione, nella quale ogni personaggio affronta — a suo modo — la possibilità di simbolizzare il proprio dolore e ridefinire la propria identità. Al centro dell’analisi, vi è l’idea che ogni trauma implichi una perdita originaria che genera un vuoto soggettivo: solo attraverso l’elaborazione simbolica di tale mancanza è possibile transitare dal rischio distruttivo della pulsione di morte a una forma di amore di sé.

1. Introduzione: dalla maschera all’elaborazione

Thunderbolts non propone un racconto tradizionale di redenzione eroica. Gli eroi protagonisti sono figure spezzate, portatrici di colpa, fallimento e ambivalenza. Lungi dal rappresentare ideali morali o modelli identitari, incarnano soggetti in lotta con la propria storia psichica. In questo senso, il film può essere letto come una metafora del processo analitico: un attraversamento del trauma, dell’Io ideale e della vergogna per giungere a una forma più autentica di soggettivazione.

Al cuore della narrazione, vi è un nodo freudiano essenziale: ogni trauma è, in ultima analisi, una perdita. Una frattura dell’integrità narcisistica, una rottura del legame, una sottrazione affettiva. La perdita genera un vuoto — il vuoto del lutto non elaborato, della colpa, della solitudine. È su questo sfondo che si sviluppa il film, come dispositivo psichico collettivo in cui ciascun personaggio cerca — più o meno consapevolmente — di colmare o significare il proprio vuoto.

2. La scena rivelatrice: Yelena e il desiderio di fare la portiera

Yelena Belova, figura centrale nella narrazione, esprime — in un momento di apparente leggerezza — il desiderio di «fare la portiera» invece che l’eroina. Questo enunciato, nella sua ambiguità, si offre come chiave di lettura psicoanalitica. Fare la portiera significa stare alla soglia, decidere chi può entrare e chi deve restare fuori: è una posizione liminale tra l’Io e l’Altro, tra il mondo interno ferito e il mondo esterno minaccioso.

In termini lacaniani, si tratta di presidiare il confine tra il Simbolico e il Reale, tra il trauma e la sua possibile elaborazione. Dopo la perdita della sorella Natasha e l’esplosione del legame familiare, Yelena cerca un punto fermo: non un'identità eroica, ma una funzione simbolica di controllo del desiderio e della memoria. Il trauma della perdita la ha gettata nel vuoto, ma proprio quel vuoto diventa lo spazio in cui può iniziare a significare sé stessa, non più come copia dell’altro, ma come soggetto autonomo.

3. Gli altri personaggi e la soglia simbolica

Il desiderio di Yelena si riflette nei dilemmi degli altri membri del gruppo, tutti collocati in posizioni di fallimento soggettivo rispetto alla soglia del trauma:

  • Bucky Barnes, tormentato dalle azioni compiute come Soldato d’Inverno, è prigioniero del ritorno del rimosso. In lui, il trauma coincide con una perdita irrappresentabile dell’identità. Il vuoto che lo abita è quello del tempo perduto e dell’altro in sé: il nemico interno. La sua vergogna non è solo morale, ma ontologica. Solo riconoscendo di non poter riparare tutto, ma di poter scegliere oggi, Bucky inizia ad accedere a una forma di amore di sé svincolata dall’ideale eroico.

  • John Walker, invece, incarna il tentativo fallimentare di rimuovere la perdita attraverso l’onnipotenza. La sua pulsione a “dimostrare” di essere un eroe maschera una vergogna profonda legata alla caduta narcisistica. Solo quando fallisce come leader e come salvatore, comincia a riconoscere il proprio limite, e quindi la propria umanità. L’accesso all’amore di sé è per lui possibile solo nella castrazione simbolica.

  • Valentina de Fontaine manipola gli altri per non toccare il proprio vuoto. Il suo potere è una difesa contro il dolore della perdita relazionale, dell’incapacità di costruire legami autentici. Ma il controllo, come spesso in Lacan, è il segno della non-simbolizzazione: Valentina agisce come se la mancanza non esistesse, e dunque ne resta prigioniera.

  • Bob Reynolds/Sentry è l’incarnazione clinica del vuoto. Il suo doppio, il Void, non è solo una forza esterna: è il trauma stesso, il reale intrusivo che invade ogni confine psichico. Il conflitto tra Bob e il Void rappresenta lo scacco narcisistico assoluto: ogni tentativo di dominio conduce alla dissoluzione. Solo nel riconoscimento della propria frattura, Bob può differenziarsi dal suo doppio distruttivo e iniziare a esistere come soggetto scisso ma vivente.

4. Vergogna, vuoto e solitudine: le tre facce del trauma

Nel film, la vergogna è la prima reazione al trauma: non si tratta solo di un’emozione morale, ma di una reazione profonda all’esperienza della caduta dell’ideale. Il soggetto si scopre mancante, non-tutto, visto dall’Altro. È questo sguardo che lo paralizza.

Il vuoto è lo spazio psichico lasciato dalla perdita: non ancora simbolizzato, esso si presenta come angoscia, come buco nel senso. Ed è proprio questa angoscia che il film mette in scena continuamente — attraverso i silenzi, le fratture tra i personaggi, gli attacchi improvvisi del Void.

La solitudine infine è ciò che resta quando l’Altro viene perso — sia come figura concreta (una sorella, un gruppo, un amore), sia come referente simbolico. È la condizione dell’io post-traumatico, che non sa più chi è, perché ha perso la relazione che lo definiva.

E tuttavia, proprio da questa solitudine può emergere qualcosa di nuovo: un soggetto che non si fonda più sull’ideale, ma sul desiderio.

5. Il finale: dall’autodistruzione alla soggettivazione

Nel finale, il film non offre redenzioni spettacolari. Offre invece mutazioni soggettive. Gli eroi non cancellano il trauma, ma smettono di fuggirlo. L’elaborazione non è una guarigione magica, ma un processo di simbolizzazione: dare senso alla mancanza, abitarla, parlarla.

È in questo contesto che il racconto di Yelena sulla portiera assume valore clinico. Fare la portiera significa diventare custodi della soglia, non negare il vuoto, ma attraversarlo. Non servire l’ideale eroico, ma il limite che protegge il desiderio. Non cercare l’amore dell’altro, ma l’amore di sé.

6. Conclusione: elaborare il trauma per abitare la mancanza

Il messaggio finale di Thunderbolts è che elaborare un trauma non significa superarlo, ma trasformarlo in significato. Il trauma implica una perdita, e ogni perdita apre un vuoto. Ma solo nel riconoscere quella mancanza come parte costitutiva del soggetto — come “soggetto barrato”, direbbe Lacan — è possibile accedere a una forma autentica di vita.

Questa non è la vita dell’eroe invincibile, ma quella del soggetto che si ama non nonostante il proprio limite, ma attraverso di esso. Che sa chiudere la porta a ciò che distrugge, e aprirla a ciò che fa esistere.

Bibliografia

Freud, Sigmund

  • Al di là del principio di piacere (1920), in Opere, vol. 9, Bollati Boringhieri, Torino.

  • Il disagio della civiltà (1930), in Opere, vol. 10, Bollati Boringhieri, Torino.

  • L’Io e l’Es (1923), in Opere, vol. 9, Bollati Boringhieri, Torino.

  • Introduzione alla psicoanalisi (1917), in Opere, vol. 7, Bollati Boringhieri, Torino.

Lacan, Jacques

  • Il seminario. Libro I: Gli scritti tecnici di Freud (1953-1954), Einaudi, Torino, 2008.

  • Il seminario. Libro VII: L’etica della psicoanalisi (1959-1960), Einaudi, Torino, 2008.

  • Il seminario. Libro XI: I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964), Einaudi, Torino, 2003.

  • Scritti, vol. I e II, Einaudi, Torino.

Altri autori

  • Žižek, Slavoj, Benvenuti nel deserto del reale, Meltemi, Roma, 2002.

  • Žižek, Slavoj, Guida perversa al cinema, Fazi Editore, Roma, 2006.

  • Recalcati, Massimo, L’uomo senza inconscio, Raffaello Cortina, Milano, 2010.

  • Bonomi, Salvatore, Il trauma psichico. Dall’eredità freudiana alla clinica del reale, FrancoAngeli, Milano, 2017.

  • Miller, Jacques-Alain, Il rovescio della biopolitica, Quodlibet, Macerata, 2012.

  • Bronfen, Elisabeth, Over Her Dead Body, Routledge, London, 1992.

  • Creed, Barbara, The Monstrous-Feminine, Routledge, London, 1993.

  • Mulvey, Laura, Visual and Other Pleasures, Palgrave, London, 1989.


 
 
 

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